Nelle campagne l’annata cominciava infatti l’11 novembre, il giorno di San Martino – quando i contratti agricoli annuali scadevano e molte famiglie dovevano far trasloco e andare a lavorare in un’altra cascina – e proseguiva poi assegnando ad ogni mese le attività che la stagione rendeva possibili e necessarie.
Proprio questo carattere del tempo contadino, distante da quello che noi sperimentiamo, il Museo cerca di mettere in luce. Il modo di sentire il passare dei giorni e degli anni era infatti diverso. Si conosceva la fatica, ma non la fretta. Lo scorrere del tempo non era sentito come una corsa senza ritorno ma come un ciclo, nell’avvicendarsi delle stagioni e dei lavori agricoli, nella maturazione dei frutti delle piante e di quelli dell’orto, nel passaggio degli uccelli migratori, nel ripetersi degli eventi della vita collettiva, nell’esperienza accumulata dai vecchi.
Individuando questo come uno dei tratti principali della civiltà contadina che si vogliono trasmettere, il Museo ha fatto ricorso ad una proposta che lo caratterizza: in diverse sale, e nella pubblicazione stessa che ne illustra i contenuti, compare un gioco dell’oca inedito, nel quale sono rappresentati dapprima i segni naturali e gli strumenti umani che misuravano il tempo e di seguito le occupazioni che regolavano la giornata fino alla domenica. Poi i lavori agricoli e le feste che si succedevano nel corso dell’anno. Quindi, le età della vita, e infine le stagioni, nel loro incessante ritorno.

Nel gioco dell’oca che il Museo della Civiltà Contadina di Mairano propone ai suoi visitatori sono rappresentati dapprima i segni naturali e gli strumenti umani che misuravano il tempo e di seguito le occupazioni che regolavano la giornata fino alla domenica. Poi i lavori agricoli e le feste che si succedevano nel corso dell’anno. Quindi, le età della vita, e infine le stagioni, nel loro incessante ritorno.